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LA NINFA A SALIRE

La tecnica della "ninfa a salire" nella pesca a mosca: un’introduzione

Quando ci si trova di fronte a un torrente o a un fiume dove i pesci non si vedono emergere in superficie, è importante non farsi ingannare dall’apparente calma. Le trote, infatti, trascorrono la maggior parte del loro tempo nei pressi del fondo in attesa di catturare prede che passano a tiro. In queste situazioni, l’imitazione del cibo trasportato dalla corrente sotto la superficie diventa fondamentale e la pesca a mosca con tecniche  sommerse risultano essere le risposte ideali.

Nel corso degli anni, i pescatori hanno sviluppato vari metodi per catturare le trote sotto la superficie, perfezionando l’uso di ninfe ed imitazioni di ninfe emergenti. Con questo articolo e altri di una serie dedicata a esplorare queste tecniche,  cercherò di trasmettervi conoscenze maturate negli anni, dall’approccio mentale da adottare, all’attrezzatura e alle montature fino agli artificiali specifici.

La "ninfa a salire" e l’approccio italiano

La “ninfa a salire” rappresenta uno degli stili di pesca a mosca più tipici della scuola italiana. Si tratta di una tecnica che trova il suo contesto ideale nelle acque torrentizie, veloci e poco profonde, che spesso presentano correnti irregolari interrotte da massi scoperti o sommersi. Questi ambienti, così come il carattere sfuggente delle trote fario, hanno dato origine a una riflessione e un’evoluzione della pesca a ninfa, che è ancora oggi il metodo preferito dai pescatori italiani.

La ninfa a salire si adatta perfettamente a queste acque rapide, dove le trote si concentrano sui cibi che vengono trasportati dalla corrente sotto la superficie. È infatti proprio durante il movimento della ninfa verso l’alto, che emula il comportamento di insetti in fase di emergenza, che i pesci più attenti si avventano sulla preda. Questo approccio permette di esplorare le acque più difficili, dove i pesci non sono visibili in superficie ma si alimentano sotto la superficie dell’acqua.

L’evoluzione della tecnica: la scuola italiana e l’introduzione del tungsteno

Nei decenni passati, i pionieri italiani della pesca a mosca, che si ispiravano ai classici metodi di pesca a ninfa di autori come F. Sawyer, G.E.M. Skues e C. Jardine, iniziarono a elaborare una serie di tecniche che rispondevano meglio alle caratteristiche delle nostre acque e alla natura delle trote fario. Sebbene i metodi classici, come la ninfa in passata o il metodo Sawyer, fossero già noti, le specifiche necessità del nostro ambiente acquatico hanno stimolato gli appassionati italiani a sperimentare nuove soluzioni.

L’introduzione delle palline in tungsteno ha rappresentato una svolta importante. Questi pesi, grazie alla loro alta densità, consentono di affondare l’artificiale rapidamente senza aumentarne troppo il volume, il che rende la ninfa più agile ed efficace nelle acque veloci. La possibilità di mantenere dimensioni ridotte senza compromettere l’affondamento ha portato a una maggiore precisione nella simulazione della ninfa che risale verso la superficie, un comportamento molto naturale per i pesci.

Le tecniche sommerse evolute

Nel corso degli anni, la “ninfa a salire” ha visto una serie di evoluzioni. Accanto a essa, sono nate altre tecniche come la sommersa a salire, la ninfa in passata e la ninfa con l’affondatore, ognuna delle quali ha i suoi specifici impieghi e benefici. La tecnica della ninfa a salire, tuttavia, rimane una delle più apprezzate, proprio per la sua capacità di adattarsi a una varietà di condizioni ambientali.

Il movimento della ninfa a salire emula l’ascesa di una larva che si prepara a emergere, un comportamento che attira irresistibilmente la trota. La chiave di questa tecnica è l’utilizzo di esche che risalgono lentamente verso la superficie, attraverso un recupero che spesso avviene a tratti, in modo da simulare il movimento naturale della ninfa. Nei periodi freddi però le trote saranno restie a salire verso la superficie per mangiare le nostre ninfe di conseguenza bisognerà cercare di farle lavorare il più possibile nei pressi del fondo. 

Edgardo Dona Campione con attrezzatura da pesca a mosca, intento in una grande cattura

Attrezzatura Necessaria

Le Canne

Le canne adatte alla pesca a ninfa devono avere una lunghezza compresa tra i 9 e i 11 piedi, risultando leggere e particolarmente sensibili. È preferibile scegliere modelli con una gradazione di coda bassa, generalmente compresa tra #2 e #4. Questa caratteristica è fondamentale per percepire anche le abboccate più delicate, che spesso non sono visibili ma solo avvertibili attraverso la sensibilità della canna. Consiglio l’utilizzo di una 9′ solo in caso si affrontino piccoli torrenti infrascati.

Uno degli ostacoli più comuni per chi proviene dalla pesca a secca è proprio la scelta della canna, non tutte le canne progettate per la pesca a secca sono idonee per la pesca a ninfa, anche se la lunghezza può sembrare adeguata. L’azione della canna, sia essa di punta o parabolica, è invece una questione di preferenze personali.

Negli ultimi anni, il mercato ha introdotto grazie alle competizioni attrezzature specifiche per la ninfa, tra cui modelli di canne di alta qualità a prezzi accessibili, rendendo questa tecnica più accessibile a tutti i pescatori.

La Coda di Topo

Nella pesca a ninfa, il lancio classico è quasi inesistente, quindi si predilige una coda di topo estremamente leggera e sotto tarata rispetto alla canna. Code molto sottili riducono il peso complessivo del sistema, consentendo una maggiore sensibilità nella presentazione della ninfa. Le innovative code level line da 0,55 mm ne sono la dimostrazione. Nate per la “pesca a filo” queste code essendo leggerissime consentono di pescare anche a lunghe distanze senza che il loro peso trascini le ninfe verso di voi.

È consigliabile creare un’asola in fondo alla coda per collegare il finale, evitando giunzioni troppo rigide che potrebbero compromettere la naturalezza dell’azione di pesca. L’asola finale la produco spelando 4 cm di coda, formo un’asola e la cucio con del kevlar. Dopo di che faccio una legatura che va a coprire tutta le cucitura e la rivesto con una colla flessibile tipo ” colla Artiglio”.

Il finale

Il finale occupa una parte importante nella pratica di questa tecnica, dal momento che si occupa di trasferire le sensazioni e guidare le nostre mosche in acqua e nel lancio. Si può utilizzare un finale a nodi della lunghezza di 220 cm, la sua conicità permette infatti grande precisione, che rappresenta un indiscutibile vantaggio per lanciare le ninfe esattamente nei punti desiderati, specie considerando che affrontiamo acque con molte correnti e zone di pesca ristrette con acque basse, dove a volte il primo lancio è vincente, per cui è molto importante che sia ben eseguito e preciso.

La qualità che un monofilo di nylon per questo tipo di finali deve avere è la morbidezza. Parto con un diametro non molto grande, per rimanere in linea con il concetto della sensibilità: canna leggera e sensibile, coda leggera e finale fine, giacché il tutto deve avere una sua indiscutibile armonia.

Finali NINFA scaled

Il corpo del finale finisce con una asolina o un micro ring ai quali lego il tip che varierà il diametro e la lunghezza a seconda delle condizioni e delle esigenze del fiume che affronterò.

Utilizzo il primo spezzone di tip, che va dall’asolina alla mosca di bracciolo, per accorciare o allungare il finale. In condizioni di acque basse e chiare preferisco allungare questo spezzone, perché così facendo posso pescare più lungo e avere una posa più morbida. Per il tip utilizzo il fluorocarbon e la lunghezza complessiva è compresa tra 1,80 e 2,10 m. Un sistema molto semplice per fare un tip standard è misurare dalla spalla sinistra alla mano destra lo spezzone che va dall’asolina al bracciolo che sarà lungo circa 100/120 cm, mentre per lo spezzone finale misuro la distanza dalla spalla destra alla mano destra che sono circa 70cm. Nel caso si possano utilizzare 3 artificiali faccio 3 spezzoni da 70 cm circa.

Altro finale che consiglio anche per le competizioni è il conico da 12′ che finisce con uno  0,20/0,22 al quale si attaccherà uno strike indicator bicolor da 60/70 cm. Si può creare un’asola con un nodo Perfect Loop o usare un micro ring per la congiunzione al tip.

Molto utilizzato ultimamente come terminale è un semplice filo del diametro dello 0,20/0,28 che può essere un nylon UV, una Level Line da Tenkara o semplicemente lo strike indicator bicolor, la misura può variare dai 5 ai 10 mt. Ritengo, però, che utilizzare una lunghezza superiore ai 10 mt sia inutile ed anti producente ai fini della pesca. 

Le mosche

Nella pesca a ninfa a risalire, si utilizzano generalmente due ninfe, distanziate tra loro di circa 60-70 cm. Se posizionate troppo vicine, possono creare problemi in fase di lancio e compromettere la naturalezza della presentazione.

Le ninfe impiegate sono appesantite, utilizzando piombo avvolto sull’amo oppure palline di ottone o tungsteno a seconda della profondità e velocità della corrente. Il tungsteno è il materiale più diffuso per la sua elevata capacità di affondamento, ma è importante dosarne il peso poiché un eccesso potrebbe rendere meno efficace l’azione di pesca.

Esistono ninfe di ogni forma e colore, suddivise tra imitazioni realistiche e modelli di fantasia. Generalmente, si utilizzano ami di misura che vanno dal 12 al 18, variando il peso della pallina per adattarsi alle condizioni del fiume. L’introduzione di materiali sintetici ha reso le ninfe moderne più brillanti e appariscenti, sebbene questa caratteristica sembri attrarre più i pescatori che i pesci.

Una delle innovazioni più rilevanti è rappresentata dagli hot spot, ovvero dettagli di colore acceso come palline colorate, collarini fluo, code fluo tipo la Red Tag, che creano contrasti cromatici andando a stimolare l’aggressività del pesce . Tuttavia, la struttura di base delle ninfe non è cambiata molto rispetto ai modelli tradizionali, realizzati con materiali naturali come orecchio di lepre, coda di fagiano e dubbing di coniglio o scoiattolo. Questi ultimi, infatti, continuano ad essere estremamente efficaci.

Più che ricreare un’esatta imitazione delle ninfe presenti nel fiume, l’obiettivo principale è offrire un’imitazione generica e ben presentata. La scelta della ninfa dipende quindi soprattutto dalla sua struttura: i materiali influenzano il modo in cui affonda e lavora nell’acqua. Ad esempio, una ninfa con materiali pelosi affonderà più lentamente rispetto a una più snella e compatta, risultando più adatta a passate lunghe in acque con correnti moderate. Una delle innovazioni di questi ultimi anni sono i perdigon. Sono ninfe costruite con materiali sintetici tipo Glitter Thread, Body Fly, Floss, Quill di Pavone spelato o semplice filo di montaggio verniciate con colla UV. Questo permette alla ninfa di affondare molto velocemente non avendo materiale che può fare attrito al di fuori della siluette della ninfa. 

Tecnica e approccio

Abbibliamento

Nella pesca a ninfa, la sensibilità è tutto. È fondamentale percepire dove si trovano le mosche e come stanno lavorando. Queste informazioni vengono trasmesse dall’attrezzatura, dalla posizione del finale e della coda e dalle vibrazioni sulla canna. Con l’esperienza, il pescatore impara a interpretarle e a intervenire quando necessario.

Questa tecnica rientra nella categoria delle short nymphing, dove gli artificiali vengono fatti lavorare a breve distanza dal pescatore. Si utilizza un minimo di coda fuori dal cimino e il lancio consiste essenzialmente in un ribaltamento del finale, eseguito con polso e avambraccio. La chiave è posizionarsi correttamente, risalendo il fiume e affrontando le zone di pesca dal basso.

Una volta che le mosche toccano l’acqua, si solleva la canna per mettere in tiro gli artificiali e controllarne la discesa. Se lasciati liberi il finale e le ninfe sarebbero trascinati dalla corrente riducendone l’efficacia.

Il pescatore deve adattare la tensione sulla canna a seconda dell’attività del pesce: se il pesce è poco attivo, bisogna lasciare che le mosche scendano dolcemente; se invece è aggressivo, si può mantenere più contatto con gli artificiali.

Inoltre è cruciale mantenere sempre il contatto visivo con il segnalatore, poiché qualsiasi anomalia nel suo movimento può indicare un’abboccata. Anche il più piccolo rallentamento o deviazione laterale deve essere interpretato come un possibile attacco.

L’azione di ferrata deve essere rapida e decisa, ma senza strappi eccessivi. Un buon trucco è inclinare leggermente la canna a valle, in modo da esercitare una trazione efficace senza creare resistenze inutili che potrebbero far slamare il pesce.

Nella pratica cosa faccio solitamente.

Nel momento in cui mi avvicino al fiume, tendo a posizionarmi in modo strategico per non risultare troppo visibile ai pesci. Solitamente arrivo da dietro e mi posiziono un po’ a valle e lateralmente, cercando di non disturbare troppo l’ambiente. Il primo lancio è sempre il più importante: cerco di coprire tutta la zona di pesca, iniziando con le ninfe nella parte più alta della corrente e lasciandole scendere naturalmente, seguendo il flusso. La prima passata, infatti, è spesso quella decisiva, poiché un secondo lancio potrebbe creare disturbo e spaventare i pesci. Se la zona di pesca è ampia, inizio lanciando sempre vicino alla sponda per poi avvicinarmi gradualmente e concentrarmi sulle acque più alte verso il centro del fiume. Spesso e volentieri “si cammina sui pesci” e li si vede scappare in tutte le direzioni, sapete il perchè? Perchè non avete pescato il sotto riva che spesso risulterà strategico per una buona pescata. I pesci preferiscono stare, spesse volte, nei pressi della riva perchè la corrente pur essendo ovviamente minore porta loro comunque il cibo e aspetto da non sottovalutare gli consente un risparmio energetico che è fondamentale per la loro sopravvivenza!

Naturalmente, anche la stagione influisce molto sulla posizione dei pesci. A seconda del periodo, i posti di pesca cambiano: in estate è meglio concentrarsi sulle zone centrali e finali della corrente, dove l’acqua è più bassa ed ossigenata, mentre in primavera e autunno i pesci si trovano più frequentemente in acque più profonde, dove la corrente è più lenta e magari in prossimità di una tana. Dopo alcune passate, mi sposto verso il prossimo spot seguendo sempre un percorso logico nei miei spostamenti. Spesso mi muovo attraverso il fiume in diagonale, risalendo gradualmente verso monte e poi tornando indietro, creando una sorta di “zig-zag” invisibile lungo il corso dell’acqua.

Una volta che le ninfe toccano l’acqua mi concentro sul portare il finale in tiro. Sollevo delicatamente la canna per far scendere le mosche alla stessa velocità della corrente arretrando lentamente e piegando il braccio mantenendo l’arco naturale tra la coda e il finale. Continuo a muovere il busto in modo che la canna si trovi perpendicolare alla direzione delle mosche. Questa è la zona finale della mia passata. La posizione della canna insieme alla tensione della coda e del finale mi aiuta a capire come stanno lavorando le ninfe. Se la canna è alta, con la coda e il finale ben tesi significa che le mosche sono molto in contatto con la corrente e probabilmente stanno risalendo verso l’alto. Al contrario, se la canna è bassa e si sposta più rapidamente verso valle rispetto alle mosche con l’arco formato dalla coda e dal finale ben visibile significa che le ninfe sono più libere nella corrente. In questo caso, devo fare attenzione al loro peso per evitare che si incaglino sul fondo mentre percorrono la corrente. In caso di presenza di vento consiglio sempre di abbassare notevolmente la canna per evitare di formare una ampia pancia del finale perdendo così il contatto con le ninfe.

Trucchi e variazioni

Quando ci si avvicina ad un fiume per la prima volta è fondamentale cercare di comprendere come il pesce si sta nutrendo. Abbiamo detto che può essere molto attivo e in movimento oppure stazionare fermo sul fondo. Per questo è importante fare alcune prove variando il modo in cui si fanno lavorare le ninfe in modo da capire fin dalle prime catture quale sia il comportamento del pesce in quel momento. Ogni cattura fornisce informazioni preziose sul comportamento dei pesci, sul luogo dove si trovano, sul tipo di movimento che preferiscono e su cosa stanno mangiando.

Il pesce selvatico di un fiume tende a comportarsi in modo simile, quindi riuscire a individuare il luogo dove i pesci si stazionano è fondamentale. Capire come stanno mangiando è altrettanto importante: replicare il tipo di movimento che ha portato alla cattura in quel momento può fare la differenza nelle successive passate. Spesso una cattura fatta per caso può rivelarsi estremamente utile fornendo indicazioni sul comportamento dei pesci.

A mio parere cosa stanno mangiando è un aspetto meno rilevante anche se talvolta una mosca può risultare particolarmente catturante rispetto ad altre per motivi che non sempre ci sono chiari. In questi casi può essere utile montare due mosche uguali.

Esistono poi alcuni piccoli trucchi che, a volte, fanno una grande differenza. Un esempio è quello che potremmo chiamare “invito”: durante la passata, si eseguono piccoli colpetti con la canna verso l’alto, facendo compiere un accenno di ascesa e discesa alle ninfe. Il pesce vedendo una preda che sta cercando di sfuggire potrebbe reagire prontamente con un attacco. Un altro trucco è la trattenuta alla fine della passata: prima di rilanciare si ferma la canna per qualche secondo generando così un movimento verso l’alto delle mosche che risaliranno fino alla superficie. Anche un attimo di attesa in più, a volte, può essere determinante per il successo della cattura.

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